L’argomento trattamento pensionistico è uno dei più difficili da trattare, per via delle novità che si succedono ogni anno, e per il fatto che molti giovani vedono la pensione quasi come un obiettivo irraggiungibile.
Perché preoccuparsi della pensione da giovani
I contributi sono delle somme di denaro che vengono versate dai datori di lavoro e dai lavoratori stessi per andare a sostenere le prestazioni pensionistiche che si riceveranno nel futuro. I contenuti sono obbligatori, sono in genere proporzionali alla retribuzione e versati a istituti come INPS e INPDAP.
Dall’età anagrafica raggiunta e dall’ammontare dei contributi accumulati deriva il diritto di andare in pensione. L’ammontare della pensione corrisposta dal metodo di calcolo, che può essere retributivo o contributivo.
Nel caso del calcolo retributivo l’ammontare della pensione non dipende più dall’ultima busta paga (che in genere è più alta della media in quanto percepita al culmine della carriera). Nel caso del calcolo contributivo invece l’ammontare della pensione è conseguenza dei contributi accumulati nel corso degli anni.
Questa situazione può rivelarsi problematica in quanto i giovani non contano più su una continuità lavorativa assicurata come è stato per la generazione precedente. I pensionati del futuro quindi non potranno realisticamente contare su un tenore di vita come quello ai tempi lavorativi, se si fa affidamento soltanto all’assicurazione pubblica.
Di pensione quindi dovremmo iniziare a preoccuparci quando siamo giovani, non quando l’ambito traguardo è già in vista.
Esatto, i giovani non hanno soltanto il problema di trovare un lavoro retribuito, appagante e conforme alle loro aspirazioni, ma anche di tutelarsi in vista di un periodo notoriamente meno florido economicamente, quello della pensione. Coloro che attualmente sono nel pieno dell’attività lavorativa, e che stimano di andare in pensione tra molte decadi, dovrebbero essere invece proprio coloro più spronati a interessarsi in fatto di pensione integrativa.
Mario Draghi ha dichiarato che d’ora in avanti si ragionerà soltanto con il sistema contributivo. L’assegno pensionistico quindi sarà molto minore a quello che si ha diritto con il sistema retributivo. I lavoratori giovani quindi hanno tutto l’interesse a darsi da fare per costituire una pensione integrativa.
L’adesione fin da giovani a un fondo pensione integrativo è la scelta giusta per tutelare il proprio stile di vita quando si sarà anziani. Con il passare degli anni si mette da parte un patrimonio considerevole che con i benefici fiscali della deducibilità e dei rendimenti prodotti accresce il proprio valore.
Preoccuparsi di iscriversi alla previdenza complementare offre diversi benefici:
- costruire nel tempo la propria futura serenità economica
- prima si inizia ad accumulare fondi, maggiore sarà il loro ammontare
- i parenti possono contribuire con i propri versamenti
- godere di benefici fiscali maggiori
- gestione più efficiente grazie al lungo periodo disponibile
Previdenza complementare: perché investire quando si è giovani
Se la pensione base che ci si prospetta ci sembra del tutto insoddisfacente – e probabilmente è così – dovremo iniziare a pensare ai fondi pensioni integrativi.
La previdenza complementare è un approccio che punta a generare una pensione complementare che vada ad aggiungersi a quella – magra – riconosciuta dallo Stato. Investire da giovani in una forma di pensione integrativa non significa buttare via soldi, ma preservare il proprio benessere nel futuro. Come conseguenza del lungo tempo lavorativo che si ha di fronte, si può quindi contare su tempi di accumulo molto corposi.
I giovani lavoratori possono decidere se destinare il proprio TFR (Trattamento di Fine Rapporto) a un fondo pensione, anziché lasciarlo in azienda. il TFR è l’equivalente circa dello stipendio di un anno, che il datore di lavoro per conto del lavoratore accantona o in azienda o in un fondo pensione. I contributi versati annualmente nel fondo sono deducibili dal reddito IRPEF (tetto massimo annuale pari a 5.164,57 euro); i rendimenti ottenuti subiscono un prelievo fiscale del 12,5% sui rendimenti da Titoli di Stato e del 20% sui rendimenti da altri impieghi. Inoltre i patrimoni accumulati sono distinti da quelli privati e non soggetti a procedure di pignoramento, ed è possibile richiedere in caso di morte, a favore degli eredi, il riscatto prima del pensionamento e la reversibilità della pensione integrativa.
I fondi pensione sono riscattabili in anticipo a diverse condizioni:
- anticipazione: fino al 75% dell’importo accumulato per spese sanitarie, acquisto e/o ristrutturazione della prima casa, fino al 30% per altre esigenze;
- riscatto del 50% o del 100% del patrimonio accumulato in caso di perdita del lavoro o invalidità permanente sopraggiunta.
Le fondi pensionistiche complementari sono:
- I fondi pensione aperti sono gestiti da banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio e società di intermediazione mobiliare.
- I piani individuali pensionistici sono gestiti da imprese di assicurazione.
- I fondi pensione chiusi sono gestiti da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro e seguono regolamentazioni stabilite con una contrattazione nazionale.
- I fondi pensione preesistenti (le forme pensionistiche istituite prima del 1992).
Come investire nella previdenza complementare
Non basta mettere da parte una parte della retribuzione per costituire, un po’ alla volta, un tesoretto che andrà a alimentare un gettito aggiuntivo alla pensione. Bisogna anche saperlo rivalutare, in modo che il suo valore aumenti nel corso del tempo.
Se pensiamo a una persona di 20/25 anni che lavora, significa che la pensione arriverà tra qualcosa come 35/40 anni. Questo lungo periodo di tempo rende ragionevole prendere in considerazione investire nel comparto azionario, per sua natura rischioso, ma un rischio nel quale si può rientrare nell’arco degli anni.
Le obbligazioni, per quanto più sicure, non offrono rivalutazioni apprezzabili proprio come conseguenza di tale rischio ridottissimo. Le azioni invece sono soggette alle oscillazioni del mercato ma nel lungo periodo (e decenni di distanza dalla pensione sono appunto lunghi periodi) possono generare rendimenti interessanti.
Ovviamente questo discorso cambia sensibilmente in base al tempo che ci separa dalla pensione. Maggiore è il tempo lavorativo che abbiamo per investire maggiore è il grado di rischio che possiamo sopportare per ottenere dei rendimenti migliori.
Una persona che si ritrova a 4 / 5 anni dalla pensione non ha convenienza a rischiare così tanto, se non ha più a disposizione un tempo lavorativo tale da riassorbire un alto margine di rischio.
Per intenderci, a 20 anni può essere una buona strategia optare per una ripartizione 80% azioni – 20% obbligazioni, ma a 60 anni può essere più sensato investire al 20% in azioni e nel’80% in obbligazioni. Se si ha invece una prospettiva di 5 o 6 anni ridurre l’esposizione al rischio che l’azionariato incarna, optando per una scelta ad ampia quantità obbligazionaria, è una scelta più ragionevole, per ridurre il rischio di subire grosse perdite.